Minacce, lesioni e aggressioni fisiche e verbali: negli ultimi tre anni sono stati quasi 5mila gli episodi di violenza nei confronti degli operatori socio-sanitari. I dati parlano chiaro: ogni anno circa 1600 camici bianchi hanno subito vessazioni mentre svolgevano il proprio lavoro.
I numeri – diffusi dall’INAIL in occasione della Giornata Nazionale di Educazione e Prevenzione contro la Violenza nei Confronti degli Operatori Sanitari e Sociosanitari che si celebra ogni 12 marzo – sono costantemente in crescita e raccontano di un vero e proprio bollettino di guerra che ogni giorno si consuma in ospedali, case di cura, istituti, cliniche e policlinici universitari, case di riposo, strutture di assistenza infermieristica e centri di accoglienza.
Per contrastare questi incresciosi episodi, nel 2020 è stata approvata una legge che prevede un aumento delle sanzioni penali in caso di violenza al professionista sanitario, ma, nonostante la normativa in atto, la risoluzione del problema sembra ancora lontana.
Oltre un terzo delle aggressioni è rivolta agli infermieri, seguiti a ruota libera dagli educatori professionali impegnati in servizi educativi e riabilitativi con minori, tossicodipendenti, alcolisti, carcerati, disabili, pazienti psichiatrici e anziani.
Dopo di loro – con il 29% dei casi – gli operatori socio-sanitari delle professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali e, con il 16%, coloro che operano nei servizi personali e assimilati, soprattutto operatori socio-sanitari e assistenti/accompagnatori per persone con disabilità. Meno colpita la categoria dei medici, che non include, però, nell’obbligo INAIL, i sanitari di base e i liberi professionisti.
Anche in questi dati sono presenti delle discriminazioni gender gap: il 71% delle violenze ha riguardato le donne, mentre il 39% dei casi interessa gli operatori sanitari da 35 a 49 anni, il 37% da 50 a 64 anni.
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Tuttavia, i dati elencati sono ben peggiori di quelli emersi. La Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI) mette in luce che rispetto ai circa 5mila casi denunciati in un anno ce ne sono circa 125mila non registrati. «Le denunce sono molto meno di quelle reali, perché ormai praticamente non si denunciano più le aggressioni verbali, che però, alla lunga, si traducono in stress, burnout e abbandono della professione», ha spiegato Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI.
I numeri parlano chiaro: «Circa il 68% degli operatori sanitari nel corso della vita – conferma Filippo Anelli, presidente degli Ordini dei Medici (FNOMCeO) – è stato vittima di almeno un episodio di violenza, dagli ambulatori di psichiatria alle guardie notturne: centrale sarebbe prevedere la figura di un mediatore in grado di spiegare ai cittadini, nei momenti di tensione che possono verificarsi nei luoghi di cura, cosa sta avvenendo. E poi serve il restituire il giusto tempo alla cura, cosa impossibile quando i pazienti sono tanti e sanitari troppo pochi».