L’indagine Nomisma – commissionata da Pmi Sanità e Fifo Sanità Confcommercio – parla chiaro: a seguito della congiuntura non favorevole e della richiesta di payback per i dispositivi medici 1.400 aziende e 190.000 posti di lavoro potrebbero essere a rischio.
Ma cosa significa esattamente “payback”? Il payback, in questo contesto, si riferisce alla richiesta di rimborso o restituzione di risorse finanziarie da parte delle istituzioni pubbliche che erano state precedentemente erogate alle aziende per lo sviluppo e la produzione di dispositivi medici.
Le attività coinvolte in questo settore sono state in difficoltà a causa di una serie di circostanze negative negli ultimi anni e, in seguito alla pandemia, molte di esse hanno subito gravi conseguenze economiche: ciò ha portato a una situazione in cui 1 su otto 8 risulta cessata, in liquidazione o in stato di insolvenza, mentre 1 su 3 è in stato di sofferenza.
La richiesta di payback è stata un ulteriore colpo per molte di queste imprese: è stato, infatti, registrato un aumento del numero delle aziende in difficoltà. In totale, quasi 1.400 attività si trovano in una situazione critica o di squilibrio finanziario. È importante notare che queste imprese hanno già versato imposte per un totale di 3,8 miliardi di euro nei quattro anni interessati dalla richiesta di rimborso, a cui si aggiungerebbe l’importo del payback stesso, pari a 704 milioni di euro.
Poiché solitamente più vulnerabili e meno capitalizzate, le piccole e medie imprese (PMI) sono le più colpite dalla situazione: sarebbero, infatti, costrette a versare un importo che rappresenta oltre un terzo dei loro margini lordi e più del 60% degli utili prodotti nell’ultimo anno.
Gli effetti di questarichiesta di payback sarebbero ancora più gravi perché le aziende del settore che presentano perdite di esercizio, sarebbero escluse dalle gare di appalto della Pubblica Amministrazione (PA), poiché mancano di un requisito di solidità finanziaria che viene generalmente richiesto.
Infine, le cifre richieste per il payback rappresentano un onere crescente per le aziende, indipendentemente dai risultati economici ottenuti. Ciò comporta un‘insostenibilità difficile da affrontare e potrebbe avere risvolti negativi sulla continuità della fornitura al Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Oltre ai rischi occupazionali e alla riduzione delle entrate fiscali, lo studio segnala anche che la rete di fornitori si ridurrebbe, limitando così le opzioni disponibili per gli enti appaltanti e potenzialmente influenzando negativamente i prezzi di acquisto.