In un’indagine condotta dalla Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti (FADOI) – presentata durante il 28° Congresso Nazionale della Federazione a Milano – sono emersi dati preoccupanti riguardanti il fenomeno del burnout tra i professionisti sanitari italiani. Secondo quanto riportato in un articolo del Sole24Ore e di Quotidiano Sanità, il 49,6% del campione intervistato ha dichiarato di trovarsi in uno stato di burnout, con una percentuale ancora più alta tra i medici (52%) rispetto agli infermieri (45%), con un’incidenza più impattante nelle donne.
Proiettando questi dati sul panorama complessivo della sanità pubblica italiana, si stima che ci siano oltre 56.000 medici e 125.500 infermieri che lavorano in uno stato di burnout. Questa situazione critica ha conseguenze significative sulla qualità delle cure, con un aumento degli errori commessi durante l’assistenza sanitaria.
Uno studio condotto dalla Johns Hopkins University School of Medicine e dalla Mayo Clinic del Minnesota ha rilevato che il 36% dei professionisti sanitari in burnout ha commesso almeno un errore grave nel corso dell’anno. Applicando questa percentuale al totale dei medici italiani, si ipotizza che siano stati commessi oltre 20.000 sviste. Analogamente, gli infermieri in burnout sono responsabili di circa il 57% degli errori clinici, secondo una serie di studi internazionali raccolti dalla Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (FNOPI). Considerando il numero degli infermieri pubblici italiani in burnout, si stima che siano stati commessi almeno 71.500 errori durante l’assistenza sanitaria, con un totale di almeno 92.000 errori complessivi.
Nonostante le difficoltà e le conseguenze negative sulla salute mentale e fisica dei professionisti sanitari, la stragrande maggioranza di medici e infermieri ritiene di aver affrontato efficacemente i problemi dei pazienti e di aver ottenuto risultati significativi nella propria attività lavorativa. L’84% dei professionisti sanitari crede di influenzare positivamente la vita delle altre persone con il proprio lavoro e il 73% si sente gratificato dopo essere stato in contatto con i propri pazienti.
È evidente che l’organizzazione del lavoro può fare la differenza in qualsiasi contesto lavorativo, compreso quello sanitario. Una recente revisione ha valutato l’efficacia degli interventi per migliorare l’ambiente psicosociale di lavoro, la salute dei lavoratori e la loro permanenza. Gli interventi basati su cambiamenti dell’orario di lavoro sono risultati particolarmente efficaci, mentre le modifiche che influenzano le mansioni lavorative, l’approccio all’assistenza sanitaria e le condizioni psicosociali dell’ambiente nel quale operano i professionisti hanno mostrato un’efficacia moderata.
Gli interventi volti a contrastare il burnout sono stati ritenuti efficaci, mentre altri effetti sulla salute e il benessere dei professionisti sanitari sono risultati di qualità moderata. Per gli altri tipi di interventi, la qualità delle prove era scarsa o non conclusiva, inclusi gli interventi finalizzati alla permanenza al lavoro.
È necessario affrontare urgentemente il problema del burnout tra i professionisti sanitari italiani, sia attraverso l’implementazione di misure organizzative efficaci, sia con il sostegno e la tutela della salute mentale e fisica dei lavoratori: solo così si potrà garantire una migliore qualità delle cure e salvaguardare il benessere di coloro che dedicano la propria vita alla salute degli altri.