Le differenze di genere sono da sempre esistite in qualsiasi ambito – anche in quello medico – e non riguardano soltanto l’esercizio della professione. Il gender gap rappresenta una questione che riguarda anche l’accesso alle cure, comprese quelle oncologiche, e le motivazioni non sono solo di natura medica.
I dati parlano chiaro: su 100 pazienti arruolati nei protocolli di cura sperimentali per il cancro, in media 70-80 sono uomini e solo 20 o massimo 30 sono donne. Questo è spiegabile con cause che vanno oltre il mondo della medicina e investono il sociale e il culturale. La barriera principale è il ruolo che la donna assume come “custode della casa” e spesso come unico caregiver familiare, che rende difficile per molte pazienti percorrere la strada delle terapie sperimentali, generalmente più impegnative.
A denunciare il tutto è Women For Oncology Italy, l’associazione nata da una costola della Società europea di oncologia medica (Esmo, European society for medical oncology), che da anni si batte per le pari opportunità in oncologia con l’obiettivo di sensibilizzare tutti, Istituzioni e Governo compresi, sulla necessità di correre ai ripari.
«Esiste un gender gap anche nell’accessibilità ai protocolli di cura sperimentali – spiega Rossana Berardi, presidente di Women For Oncology Italy – strettamente correlato con la condizione sociale della donna che è, ancora oggi, la persona alla quale viene demandato tutto il carico familiare, senza spesso possibilità di alternative. Si tratta di una disparità molto pericolosa, intanto perché mette potenzialmente a rischio delle vite. Poi perché è ancora percepita come la “normalità”. Ma ogni giorno tocchiamo con mano che quando è una donna ad avere un tumore la famiglia ha più difficoltà a resettarsi nella nuova condizione, venendo a mancare il perno di tutto. E questo inevitabilmente influisce anche nel percorso terapeutico, che è composto da molteplici fattori: la paziente donna rischia di partire ancora più svantaggiata, in una condizione già di per sé drammatica come può essere una diagnosi di cancro. Queste problematiche rientrano nella cosiddetta oncologia di genere, che riguarda entrambi i sessi, non solo le donne, e gli aspetti biologici e socio-sanitari che differenziano le rispettive cure. Come Women for Oncology vogliamo portare anche questi aspetti all’attenzione della politica, del Governo e dell’opinione pubblica, perché è soprattutto un lavoro di cambiamento culturale quello che va fatto. Le donne dell’oncologia italiana sono pronte a dare il loro contributo sia nel loro lavoro di tutti i giorni, come da sempre fanno, sia mettendo a disposizione dei tavoli decisionali la propria esperienza e competenza».